La moglie dell’uomo che viaggiava nel tempo

Di audrey niffenegger

 

Una delle sorprese editoriali americane più recenti si è rivelata essere questo inusuale e per molti versi sorprendente romanzo d’esordio. Audrey niffenegger è al suo esordio nella narrativa ma è molto conosciuta come artista da lungo tempo, nel campo sia della pittura che della scultura (anche se non intesa in senso tradizionale), senza dimenticare persino la poesia, a dimostrazione che si può raggiungere il successo anche se si è intorno ai quarantanni.

E tutte le sue conoscenze si ritrovano a comporre il quadro vasto e poliedrico di questo romanzo, che coniuga quasi perfettamente due anime diverse.

La storia è narrata da due punti di vista che si alternano e si sovrappongono nel raccontare la strana vita di una coppia in cui l’uomo ha un grosso problema: a causa di uno squilibrio genetico, si ritrova a viaggiare nel tempo, senza preavviso e senza poter controllare l’evento in alcun modo.

Così, seguendo in modo ineffabile il paradosso creato da una situazione così insolita, scopriamo in ordine non cronologico il modo in cui i due protagonisti si sono incontrati.

Dal punto di vista della moglie, l’incontro con Henry avviene per la prima volta quando lei ha sette anni, ma per lui, il primo incontro avviene nel 1992, quando lui ha 28 anni e lei 21. questo perché i suoi viaggi nel tempo avvengono in periodi diversi che si sovrappongono ed annullano il concetto di passaggio di tempo, al punto che spesso henry incontri se stesso in periodi diversi della sua vita, in alcuni casi aiutandosi a superare le difficoltà iniziali. I suoi viaggi infatti lo fanno arrivare a destinazione senza vestiti addosso e senza sapere dove e “quando” si trova, portandolo anche a dover lottare per la sua stessa sopravvivenza.

Dall’altra parte Clare, la moglie, aspetta con ansia il ritorno di un uomo che non sa mai se e quando rivedrà.

La vera particolarità della storia è data dal profondo stile di scrittura: lungi dal sembrare un romanzo di Michael Crichton, come una trama del genere farebbe pensare (e con la quale crichton andrebbe a nozze), siamo più nel territorio delle atmosfere sospese e malinconiche della stupenda Donna Tartt di “dio di illusioni” e “il piccolo amico”, per cui se vi aspettate una trama rutilante alla “timeline” rimarreste delusi.

Eppure questo romanzo è scorrevole ed ingegnoso e non rifugge mai i rischi del paradosso temporale, anzi lo abbraccia volentieri e lo porta alle estreme conseguenze, generando quella cosa che ogni romanzo dovrebbe fare: far muovere le rotelline del nostro cervello, invece di metterci tutto su un piatto pronto. Qui infatti vi capiterà spesso di dover tornare indietro per capire con quale “henry” abbiamo a che fare, in quale periodo storico e quali eventi sono già accaduti e di quali invece siamo già a conoscenza a dispetto dei due protagonisti.

Per ben 300 pagine l’esordiente audrey niffenegger (che ha folti capelli rossi come la sua eroina letteraria) dirige in maniera tanto fantasiosa quanto rigorosa una struttura che avrebbe messo in difficoltà l’autore più smaliziato, deliziandoci con giochetti spazio-temporali che hanno oltretutto una loro forte valenza narrativa e non sono lì solo per divertimento.

E da pagina 300 in poi che cominciano i problemi del romanzo.

Da quel momento in poi l’autrice sembra dimenticarsi completamente della trama e della stupenda struttura portata avanti fino a quel punto e ci racconta solo dei tentativi della coppia di avere un figlio, funestati da ben 7 aborti spontanei causati dai problemi genetici del marito.

Inoltrandosi nel territorio della depression, nevrosi ed ossessione legata ad una ricerca che sembra sempre più insensata, ci sembra di essere entrati in un altro romanzo e ci chiediamo che ci facciamo lì, non stavamo viaggiando nel tempo?

La situazione è destinata a peggiorare quando, riprendendo le redini della storia, l’autrice la porta alla sua più scontata (e melodrammatica) conclusione, rovinando tutta l’intelligenza di cui era pervasa la storia, quasi non avesse voluto rischiare fino in fondo.

Anche il finale sembra più preso da un romanzo di nicholas sparks che dallo spunto iniziale della storia.

Ed è un vero peccato, perché per ben ¾ del tempo la niffenegger aveva creato un vero e perfetto gioiello narrativo.

Da questo romanzo verrà tratto un film, che sarà diretto dal gus van sant, il regista del bellissimo “will hunting”. La struttura della storia ben si adatta al racconto cinematografico e sicuramente ne verrà fuori un bel film. Peccato per l’occasione sprecata a livello narrativo.

Voto:

fino a pag. 300 = 9

dopo pag. 300= 4